CESARE SACCAGGI


CESARE SACCAGGI
(Tortona 1868 - 1934)

A Babilonia (o Semiramide)

1905 circa
olio su tela con oro e pietre colorate, 240 x 140 cm
firmato in basso a destra: Saccaggi

Provenienza:
collezione privata, Torino

Esposizioni:
1993, Torino, Lingotto Fiere, Biennale di Antiquariato “Arte Antica”; 1998-1999, Stupinigi (Torino), Palazzina di Caccia, Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940, n. 107; 2008, Tortona, Palazzo Guidobono, Cesare Saccaggi. Tra Eros e Pan, n. 44 

Bibliografia:
A. Dragone, in Ottocento. Cronache dell’Arte Italiana dell’Ottocento, n. 18, Milano 1989, p. 279, tav. III; F. Sottomano, Cesare Saccaggi. Appunti per una biografia, in Cesare Saccaggi 1868-1934, a cura di M. Galli e F. Sottomano, catalogo della mostra (Canelli, Galleria “La Finestrella”, 7-31 dicembre 1996), Santo Stefano Belbo 1996, p.n.n.; P. Lodola, in Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940, a cura R. Bossaglia, catalogo della mostra (Stupinigi, Palazzina di Caccia, 13 settembre 1988 - 6 gennaio 1999), Venezia 1998, pp. 81, 203, 209; Cesare Saccaggi. Un poliedrico pittore “internazionale” 1868-1940, a cura di V. Basiglio, R. Billotta, M. Ferretti, Tortona 2000, pp. 17-18, 26, 78-79, 92, 99; P. Dragone, Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1865-1895, Genova 2003, p. 362; L. Giachero, in Cesare Saccaggi. Tra Eros e Pan, a cura di M. Galli, M. Bonadeo e L. Giachero, catalogo della mostra (Tortona, Palazzo Guidobono, 13 dicembre 2008 - 8 marzo 2009), Torino 2008, n. 44, pp. 171-172. 


“La natura mi ha donato un corpo di donna, ma le mie azioni mi hanno resa pari agli uomini più valorosi. Ho retto l’impero di Nino che verso oriente arriva fino al fiume Inamene, verso sud al paese dell’incenso e della mirra, verso nord alla Scizia e alla Sogdiana. Prima di me nessun assiro aveva visto mai il mare, io ne ho visti quattro, che mai alcuno aveva raggiunto perché troppo lontani. Io ho costretto i fiumi a scorrere dove io volevo e li ho incanalati in luoghi dove fossero utili: ho fecondato la terra sterile irrigandola con le loro acque. Ho innalzato fortezze inespugnabili, ho perforato con picconi montagne impraticabili per farne delle strade. Ho procurato ai miei carri delle vie, là dove neanche bestie feroci si erano mai inoltrate. E in mezzo a tutte queste occupazioni, ho trovato il tempo per i miei piaceri e i miei amori”.
(Polieno, Stratagemata, citato in G. Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna 2010, p. 67)


Il mito di Semiramide affonda le sue radici nella tarda antichità. Storiografia, religione, arte e letteratura hanno contribuito a tramandare nei secoli diverse e contraddittorie leggende legate alla sua figura: alcuni riconoscono in lei l’illuminata sovrana assira Shammuramat – moglie del re Shamshi-Adad V e reggente del figlio Addu-Nirari III –, cui si deve la realizzazione dei giardini pensili di Babilonia; per altri Semiramis è la figlia di una ninfa, abbandonata nel deserto e poi nutrita dalle colombe – la  ‘figlia dell’aria’, secondo Calderón de la Barca e Carlo Gozzi –; per altri ancora è figlia della dea Derceto e del siriano Caistro, andata in sposa prima a Onne, poi al re Nino, da cui ebbe un figlio che, secondo la tradizione, divenuto adulto, la scacciò dal trono e la uccise. Durante il suo regno, Semiramide ha conquistato la Mesopotamia, l’Egitto e l’Etiopia. Erodoto e Diodoro Siculo ne parlano come di una grande e buona sovrana: il secondo non le attribuisce l’idea dei giardini pensili di Babilonia ma la realizzazione di altre costruzioni, fra cui le sette cinte murarie di Ecbatana. Nel Medioevo, in base al testo di Paolo Orosio[i], Semiramide è annoverata tra le più licenziose delle potenti, accanto a Cleopatra e Zenobia di Palmira. Simbolo pagano dell’amore incestuoso, Dante la colloca nel secondo girone dell’Inferno, popolato dai lussuriosi.
 
Tale ricchezza narrativa ha appassionato nei secoli numerosi librettisti operisti e teatranti: nel Settecento, in particolare, circolano una grande quantità di testi, da Francesco Silvani a Pietro Metastasio, da Giacomo Meyerbeer a Gioacchino Rossini. La fonte letteraria di tutte queste opere è la tragedia Sémiramis di Voltaire, rappresentata per la prima volta alla Comédie Française di Parigi il 29 agosto 1748 e diffusa in lingua italiana nella traduzione di Melchiorre Cesarotti del 1772. E’ solo però nel secondo Ottocento che la figura di Semiramide inizia a essere rivaluta a livello artistico. Nel 1860 Degas la ritrae in abiti antichi mentre ammira i lavori di costruzione della città di Babilonia (Parigi, Musée d’Orsay). Il tema, col suo intreccio di lussuria e di sangue, è poi ripreso con maggiore frequenza dagli artisti legati al clima del decadentismo. E’ il caso, ad esempio, di Cesare Saccaggi nelle cui opere cerca di far rivive il mondo senza tempo del mito, che sul finire dell’Ottocento ritrova l’Olimpo perduto nelle terre d’Europa. Gli dèi caduti tornano così a raccontare i loro amori, gli eroi rivivono le loro gesta, gli uomini accompagnano con i canti la rinascita di una sognata e rassicurante Età dell’oro. Il fascino dell’arte di Saccaggi risiede però anche nella sua capacità di conduci – come per magia – in un luogo dove i sensi incantati, transumanati nella loro pienezza, hanno creato un mondo di figure incorruttibili e armoniose, che pure hanno radici nella sua più profonda esperienza fisiologica. Ma è un mondo senza fenditure, senza comunicazioni con l’esterno, fuori di quelle buie e segrete radici. I personaggi mitici di Saccaggi non sono quelli pacati e narrativi dell’antico; al contrario, sono i miti di un artista moderno, partoriti da una ispirazione irrequieta e complessa, a tratti addirittura oscura. In questo mondo poetico, ardente e concluso, la nostra realtà non entra nemmeno come presentimento o ricordo, è semplicemente ignorata.

Ciò è evidente nella stupenda A Babilonia del 1905, dove suggestioni archeologiche e teatrali convivono in simbiosi perfetta con quelle della società elegante dell’epoca e della sue più eccentriche protagoniste, come la ‘divina’ marchesa Casati, che al pari di questa Semiramide, era solita presentarsi in pubblico con leopardo al guinzaglio. La disponibilità alle sollecitazioni sensoriali scaturita dalla figura – tutta voluttuosa – della regina babilonese sfocia qui nell’esibita manifestazione del piacere amoroso; un piacere profondamente sensuale, che si riverbera nell’ambiente circostante dominato dal colossale simulacro del toro alato, identico a quello neoassiro proveniente dal Palazzo di Sargon II a Korsabad, ammirato da Saccaggi al Louvre durante il suo soggiorno a Parigi (1900-1905). L’artista ce la presenta come una giovane donna – deliquescente nella sua sostanza musicale – sospesa in una gioia di vivere, in un sentimento di assoluto piacere carnale che attraversa e impregna le cose: i suoi occhi brillano, i contorni svaporano nella scura atmosfera di fondo: un ‘non luogo’ dove il tempo si è d’improvviso fermato. La donna non ci guarda, il suo atteggiamento suggerisce un distacco dal mondo esterno, al punto da risultare impossibile qualsiasi contatto con lei, con il suo sguardo, i suoi pensieri, la sua storia. La veste che indossa, di gusto secessionista, così luminosa, così mirabilmente leggera e trasparente, scomposta quel tanto da lasciar intravvedere le nudità sottostanti, contribuisce anch’essa al fascino del quadro quanto l’incarnato tenue del viso, che stacca nettamente dal fondo, grazie anche al particolare copricapo che la regina sfoggia con algida eleganza[ii]. Saccaggi gioca con i colori, con i volumi, con i piani, in una specie di improvvisazione, rasentando il virtuosismo senza perdervi la nobiltà e serietà della tecnica.

Come più volte evidenziato dalla critica[iii], il precedente iconografico e stilistico di A Babilonia è la Giuditta dipinta da Gustave Klimt nel 1901[iv], specie per la particolare associazione di morte e sensualità, di Eros e Thanatos, che tanto affascina la cultura mitteleuropea di inizio Novecento. Ma è soprattutto al contesto dell’Art Nouveau e all’arte esoterica dei Rose+Croix che Saccaggi attinge per conferire al dipinto una carica emozionale tale da sublimarsi in una immagine di rara intensità. La sua sensibilità lo conduce addirittura a inserire sulla superficie pittorica pietre e lamine d’oro. Una scelta ispirata anche dall’opera grafica di Alphonse Mucha, e in particolare allo studio per la Salammbò[v], da cui l’artista tortonese si ispira per ideare l’impianto compositivo e le esotiche declinazioni formali.

Un’arte, quella di Saccaggi, che vuole piacere e emozionare attraverso gli occhi; un’arte nella quale il pittore riconosce le ragioni della sua poetica più autentica e genuina, e dove la gioia della creazione è visibile, impetuosa e gagliarda, animatrice di colori e di forme.


Stefano Bosi

[
i] Storico del V sec. d.C., Paolo Orosio racconta come Semiramide abbia legittimato la sua condotta disonesta, rendendo legale ciò che a ciascuno dei suoi sudditi piaceva.
[ii] Il copricapo presenta ai lati due sfarzosi auricolari di derivazione iberica, ispirati probabilmente a quelle che adornano il capo della celebre Dama d’Elchè (Parigi, Louvre).
[iii] Si vedano: P. Lodola, in Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940, a cura R. Bossaglia, catalogo della mostra, Venezia 1998, p. 209; L. Giachero, in Cesare Saccaggi. Tra Eros e Pan, a cura di M. Galli, M. Bonadeo e L. Giachero, catalogo della mostra, Torino 2008, n. 44, pp. 171-172. 
[iv] L’opera è conservata a Vienna presso Österreichische Galerie Belvedere.
[v] L’opera è pubblicata in litografia nel maggio del 1897 sulla rivista “L’Estampe Moderne” a corredo dell’omonima novella di Gustave Flaubert ambientata nell’antica Cartagine.
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[1] Storico del V sec. d.C., Paolo Orosio racconta come Semiramide abbia legittimato la sua condotta disonesta, rendendo legale ciò che a ciascuno dei suoi sudditi piaceva.
[1] Il copricapo presenta ai lati due sfarzosi auricolari di derivazione iberica, ispirati probabilmente a quelle che adornano il capo della celebre Dama d’Elchè (Parigi, Louvre).
[1] Si vedano: P. Lodola, in Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940, a cura R. Bossaglia, catalogo della mostra, Venezia 1998, p. 209; L. Giachero, in Cesare Saccaggi. Tra Eros e Pan, a cura di M. Galli, M. Bonadeo e L. Giachero, catalogo della mostra, Torino 2008, n. 44, pp. 171-172. 
[1] L’opera è conservata a Vienna presso Österreichische Galerie Belvedere.
[1] L’opera è pubblicata in litografia nel maggio del 1897 sulla rivista “L’Estampe Moderne” a corredo dell’omonima novella di Gustave Flaubert ambientata nell’antica Cartagine.


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