Egisto Lancerotto


Egisto Lancerotto, “Il gioco della tombola”, fine XIX secolo

olio su tela, cm 113 x 174, cornice coeva.

Firmato "Lancerotto Egisto" in basso a sinistra.


Il grande dipinto raffigura una scena di genere, tipica del periodo più prolifico dell’artista; i soggetti, immersi nel ricco e sapientemente costruito scorcio di un vicolo veneziano, sono intenti a osservare incuriositi le tessere del gioco della tombola, mentre una popolana, vista di sfuggita, guarda l’orizzonte creando col suo corpo e la gonna verde acqua una cesura nella scena: le figure in primo piano, vestite di colori più sgargianti, risaltano al centro dell’opera, isolandosi e risplendendo di un cromatismo vivace che li separa dal paesaggio fatto di grigi terrosi e tinte calde e miti. La naturalezza briosa del soggetto è resa tangibile dalla presenza di piccoli volatili da cortile, come galline e anatre, le cui piume sono abilmente rese da Lancerotto con tenere pennellate allungate; la grossa cesta in primo piano, colma dei frutti della terra, aiuta a calare la scena in un contesto genuino, semplice, contadino. La gente di paese di Lancerotto, immortalata su tela dal suo sguardo attento, vive in un perpetuo e meraviglioso Idilio, come se anziché provenire da Venezia fosse originaria dell’Arcadia. Il dipinto è citato all’interno della XXII edizione de “Il valore dei dipinti dell’Ottocento” di Giuseppe L. Marini a pag. 464-465.


BIOGRAFIA


Egisto Lancerotto nasce a Noale nel 1847 da una famiglia della media borghesia; il padre è un impiegato pubblico e il suo lavoro costringe la numerosa famiglia a continui trasferimenti. Nel 1853 tornano a Venezia, sua città d’origine. Lancerotto crescendo mostra inclinazioni verso la pittura e all’età di vent’anni si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia: la sua è una carriera a

tanto brillante da essere più volte premiato; nel 1874 riceve una menzione onorevole per il progresso artistico a seguito della presentazione di “quattro lodevoli dipinti”.

In quanto artista di accademia, subisce anche lui in prima persona i mutamenti stilistici che sta attraversando questa istituzione in meno di un secolo, passando dal neoclassicismo al Romanticismo nei decenni successivi, fino a farsi contagiare dalla novella corrente verista; tuttavia dell’attività giovanile di Lancerotto sono rimaste poche opere, tra cui un grande dipinto  a soggetto storico del 1883, L’assedio di Firenze, realizzato su un cartone premiato durante i suoi studi accademici una decina di anni prima. Questo soggetto è però un unicum nella pittura di Lancerotto, che comincia a dedicarsi a tempo pieno a temi “del vero”, seguendo le tracce dei suoi insegnanti, i pittori della scuola veneziana più importanti del suo tempo, tra cui Napoleone Nani, Antonio Bresolin, Federico Moja e Pompeo Marino Molmenti.

Assieme ai suoi contemporanei, tra cui Nono, Bianchi, Ciardi e soprattutto Favretto, con cui instaura una lunga amicizia, Lancerotto fa parte della “giovane scuola veneziana”, come la definisce Molmenti. Proprio negli anni ‘80 raggiunge la sua maturità artistica non che la fortuna critica, con i suoi numerosi quadri di genere: Lancerotto riesce a cogliere lo spirito del popolo veneziano, entrando nel vivo della quotidianità un po’ romanzata della vita di paese; nelle sue scene i personaggi e le loro relazioni sono sempre il fulcro del dipinto, dipinti con larghe pennellate; frequenti le scene all’aperto, soprattutto marine, ma più comuni le tele in cui l’ambientazione è interna. I soggetti di Lancerotto sono frizzanti e ricchi di vita, all’apparenza veri e freschi, come appena raccolti dai vicoli della laguna stessa, ma poi scomposti, rielaborati e lucidati nel suo atelier. In questo periodo viene invitato alle mostre delle Società Promotrici di Venezia e Milano, dove si fa conoscere con opere come la Felicità materna, esposto a Brera nel 1886 o Regata a Venezia del 1887, di cui si conoscono due versioni, una alla GAM di Genova, l’altra conservata Civiche Collezioni di Noale. 

Dotato di gran spirito d’osservazione, Lancerotto indaga con grande efficienza la psiche e i sentimenti dei suoi soggetti, dote acclamata anche dalla critica del suo tempo, come dimostrano alcune testimonianze che parlano di un’artista con una produzione assai cospicua e fruttuosa. 

La sua indole vernacolare è apprezzata alle varie esposizioni da acquirenti italiani ma soprattutto stranieri: Lancerotto conquista i collezionisti con la vena narrativa dei suoi soggetti e le giovani donne che ritrae, dai tratti squisitamente mediterranei, come quelle di le Due popolane ai giardini, tela presentata all'Esposizione di Belle Arti di Roma del 1883 o La Zingara, venduta a Brera nel 1885.

La sua fama raggiunge le esposizioni di tutta Italia, inviando quadri a Torino, Firenze, Roma, Bologna, Genova, Verona e in particolare a Ferrara, dove aveva instaurato un vantaggioso rapporto con la Società d'Arte Benvenuto Tisi da Garofalo, che gli permette una posizione di rilievo durante le mostre ferraresi fino al 1910, nonché la sua partecipazione a rassegne estere, come a Parigi, a Nizza, a Londra, ad Anversa e a Monaco di Baviera. 

A seguito della prima Esposizione Internazionale di Venezia del 1895, Lancerotto comincia a sentire la necessità di rinnovarsi; la sua pittura, tanto fruttuosa fin a quel momento, era ormai caratterizzata da una continua riproposizione di temi e soggetti stereotipati, che a lungo andare erano percepiti dai suoi contemporanei come stantii e addirittura dozzinali. Le quattro edizioni successive della Biennale infatti, rifiutarono la sua opera Chioggiotti in porto.

A partire da questo momento, Lancerotto si ritira progressivamente dalla carriera espositiva, dedicandosi a sperimentazioni pittoriche e all’insegnamento nel suo studio; la sua pennellata diventa ampia e densa, accompagnata da una continuativa ricerca d'effetti di superficie, che si esprime nell’alternarsi di zone cariche e pastose a punti più scarni di materia pittorica: i soggetti perdono plasticità e si fanno quasi eterei, immateriali. Sfortunatamente, i suoi tentativi di ammodernamento vengono giudicati negativamente dalla critica contemporanea. 

Agli inizi del Novecento, Lancerotto, spinto dal bisogno di rinfrescare la sua dimensione espressiva, si reca più volte in Brianza, dove continua a tenere corsi per giovani donne borghesi nel suo atelier; al lavoro affianca la frequentazione di suoi colleghi della zona, come il naturalista Leonardo Bazzaro e Emilio Gola, impressionista lombardo: il confronto lo porta a studiare opere di sensibilità simbolista e divisionista, mettendo in discussione se stesso e le costrizioni di quella pittura ottocentesca con la quale si era formato ed era cresciuto come artista. Da parte sua, a differenza di molti suoi contemporanei, c’è la volontà di esplorare e andare oltre ai propri limiti pittorici e tematici, anche se con un approccio contraddittorio e poco ortodosso.

Nel 1910 l’artista è colpito da una malattia polmonare, che lo costringe ad interrompere i suoi viaggi; dopo frequenti ricoveri, due anni dopo si trasferisce al Lido in una casa- atelier di nuova costruzione, che gli venne offerta dall’ingegnere ed imprenditore Giuseppe Sicher; una delle figlie di quest’ultimo, Lia Sicher, era allieva dell’artista nel suo studio e diventa successivamente una pittrice. Altre tracce della conoscenza tra la famiglia Sicher e Lancerotto sono il Ritratto di Adele Sicher, figlia di Giovanni, rappresentata a figura intera, mentre indossa un abito viola, il cui taglio, accentuato dalla posa fiera e un po’ sconveniente, mette in risalto le forme curvilinee della modella; per questo motivo la famiglia rifiuta l’opera che rimane quindi nel suo studio. A seguito dell’entrata in guerra dell’Italia e l’attacco da parte degli austriaci della zona litorale della provincia di Venezia, Lancerotto torna nella sua Noale, dove poi muore, in povertà, nel maggio del 1916; i suoi funerali avvengono alla presenza di numerosi rappresentanti dell'alta società veneziana e di molti artisti.

Le sue opere sono ad oggi principalmente conservate al museo di Ca’ Pesaro di Venezia e nella collezione civica della città di Noale, lasciate in dono da Lancerotto stesso nel suo testamento.


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